Il concetto di reincarnazione nel Buddismo differisce dagli altri in quanto non esistono “anima“, “spirito” o “sé” eterni ma solo un “flusso di coscienza” che collega la vita con la nuova vita. L’effettivo processo di cambiamento da una vita all’altra è chiamato punarbhava (sanscrito) o punabbhava ( Pali ), letteralmente “diventare di nuovo”, o più brevemente bhava, “divenire”.
I primi testi buddisti suggeriscono tecniche per ricordare nascite precedenti, basate sullo sviluppo di alti livelli di concentrazione meditativa. Ma è lo stesso Buddha a mettere in guardia i suoi discepoli da queste tecniche. Ricordare vite precedenti se utilizzate in maniera errata diventerebbero fuorvianti al fine della ricerca della verità.
Nella Reincarnazione secondo il Buddismo, il flusso di coscienza contribuisce al sorgere di una nuova vita. Alla morte di una personalità, ne nasce una nuova, proprio come la fiamma di una candela morente può servire ad accendere la fiamma di un’altra. La coscienza nella nuova persona non è né identica ma neanche totalmente diversa da quella del defunto. Le due coscienze formano una nuova amalgama.
Causa della reincarnazione è il dimorare della coscienza nell’ignoranza: quando un individuo riesce a sradicare l’ignoranza, la rinascita cessa.
La tecnica di meditazione Buddista chiamata Vipassana. Il principio fondamentale di questa meditazione è chiamato nuda attenzione e consise nel vedere le cose come sono in realtà. Si tratta un processo da mantenere tutto il giorno e non soltanto nei momenti di meditazione. Bisogna essere consapevoli di quello che si fa in ogni momento, cercando di apprendere tutte le sensazioni che derivano dalla nostra attività. Essere giudici di se stessi senza essere nello stesso tempo coinvolti condurrebbe alla nobile Verità, all’abbandono della sofferenza e dunque al Nirvana. Il mondo può quindi fermarsi così come si ferma il processo della reincarnazione.
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