Paranormale Scienza

L’ultima cosa che si vede prima di morire

L'ultima cosa che si vede prima di morire - cosa c'è dopo la morte

In questo articolo troverete le vere immagini

Una teoria affascinante: l’ultima cosa che si vede prima di morire rimarrebbe impressa nella retina. Una foto scattata alla retina di un morto ammazzato, potrebbe quindi rivelare l’identità del suo assassino? Se questo fosse davvero possibile, molti casi di troverebbero una facile soluzione. Proprio in virtù di questa possibilità, gli scienziati hanno in passato condotto ricerche in tal senso e qualcuno ci è anche riuscito. Questo argomento, tuttavia, è troppo ghiotto e ne sono stati tratti anche film e canovacci narrativi. Un esempio tra i tanti è il film Imago Mortis del 2009 e diretto da Stefano Bessoni.

L’idea, dal film …

Uno scienziato del XVII , tal Girolamo Fumagalli mette a punto una tecnica fotografica piuttosto invasiva chiamata Thanatografia. La Tanatografia implicava l’estrazione dei bulbi oculari di un essere umano pochi istanti dopo la sua morte. Va da se che il Fumagalli, per i suoi compie qualche omicidio qua e la. L’ultima immagine rimasta impressa nella retina del malcapitato veniva poi fissata su di una lastra fotografica. Passano gli anni. Molti anni e, nella scuola di cinema Murnau, uno studente del corso di regia comincia a sperimentare strane ed angoscianti allucinazioni fatte di e nel tentativo di dare una spiegazione a questo inquietante fenomeno, si imbatte nella terribile storia del folle scienziato Fumagalli.

Alla realtà

Siamo nel 1914 e un articolo apparso sulWashington Times titola così

“L’immagine sulla sua retina potrebbe mostrare la cacciatrice di ragazze”

Washington Times, 1914

Una ragazza di 20 anni, Theresa Hollander, è stata picchiata a morte e il suo è stato trovato in un cimitero.

Si fa avanti un oculista del posto che consiglia di scattare una fotografia delle retine della donna. Gli occhi del cadavere erano aperti quando è stato trovato e di conseguenza c’era la possibilità che il volto dell’assassino potesse essere rimasto impresso sulle retine della povera ragazza. Il Gran Giurì avrebbe visto il volto dell’assassino entro sabato.

Una buona idea … in teoria!

Oggi questa idea sembra una follia ma una tale affermazione era all’epoca davvero credibile. Si trattava infatti di un periodo nel quale sia la sia fotografia stavano compiendo passi da gigante. Le persone erano consapevoli delle somiglianze tra la struttura dell’ umano e quella di una fotografica, quindi l’idea che l’occhio potesse catturare e trattenere un’immagine non sembrava così inverosimile. Questa teoria è stata addirittura avvalorata da qualche esperimento scientifico.

L’Optografia

Al processo di sviluppo delle ultime immagini rimaste impresse sulla retina venne dato il nome di Optografia e le immagini ottenite Optogrammi. Gli esperimenti in questo campo iniziarono con il fisiologo Franz Christian Boll. Nel 1876, Boll scoprì un pigmento nascosto nella parte posteriore dell’occhio che si schiariva alla luce e tornava al suo colore naturale al buio. Boll ha chiamato questo pigmento retinico “viola visivo” ma oggi lo chiamiamo Rodopsina. Questa scoperta accese l’interesse di Wilhelm Friedrich Kühne, professore di fisiologia presso l’Università di Heidelberg che iniziò a studiare egli stesso la Rodopsina. Fu proprioKühne a ideare gli Optogrammi e il processo per fissare la Rodopsina sbiancata nell’occhio su una lastra fotografica e sviluppare poi un’immagine.

I primi optogrammi

Uno dei primi optogrammi di Kühne è stato realizzato dalle retine di un albino. Il coniglio, vittima sacrificale della scienza è stato legato in maniera tale che la sua testa fosse rivolta verso una finestra con le sbarre. Da questa posizione il coniglio poteva vedere soltanto un cielo grigio e nuvoloso. Inizialmente, la testa dell’animale è stata coperta per alcuni minuti così da far adattare gli occhi al buio. In questa maniera la rodopsina andava accumulandosi nei suoi bastoncelli. Successivamente l’animale è stato esposto per tre minuti alla luce e immediatamente decapitato. Prelevata in gran fretta dal bulbo oculare rimosso e aperto lungo l’equatore e la metà posteriore, la retina era immersa in una soluzione di allume per “fissare l’immagine”. Il giorno seguente Kühne vide, impressa sulla retina l’immagine della finestra ottenuta dalla rodopsina sbiancata. L’immagine della finestra con il disegno chiaro sulle sue sbarre scure era chiaramente visibile.

Optogrammi di Kühne: A sinistra una retina di coniglio senza optogramma con solo tracce di vasi sanguigni e fibre nervose. Al centro la retina di un coniglio che fissava una finestra ad arco a sette vetri e quello più a destra da un coniglio che fissava tre finestre affiancate.

Una mal riposta

La fede e le speranze riversate sull’optografia erano destinate a spegnersi in fretta. Gli esperimenti condotti da Kühne hanno infatti dimostrato che solo un ambiente semplice e ad alto contrasto era in grado di produrre optogrammi realmente interpretabili. Inoltre, la retina necessitava di essere rimossa e trattata in tempi brevissimi dal defunto. Stando agli esperimenti ai tempi condotti, il limite per ottenere una buona immagine sembra essere dai sessanta ai novanta minuti per quanto riguarda i conigli, mentre gli occhi dei buoi sembrano inutili già dopo un’ora.

Optogrammi umani

L’unico optogramma noto proveniente dall’occhio di un essere umano è stato sviluppato da Kühne, anche se non c’è la vera foto. L’uomo su cui è stato tentato l’esperimento era Erhard Gustav Reif, condannato a morte per aver annegato i suoi due figli più piccoli. Il 16 novembre 1880, Kühne prese la testa decapitata dell’uomo dalla ghigliottina e preparò un optogramma nel giro di 10 minuti. Dell’immagine, tuttavia, resta solo un ambiguo disegno dello stesso Kühne.

Kühne non ha mai affermato cosa secondo lui raffigurasse l’immagine, ma le persone hanno interpretato la forma come la lama della ghigliottina o le orme dell’uomo che camminava. Entrambe sono probabilmente interpretazioni fantasiose poiché Reif è stato bendato poco prima della sua morte.

Il caso di Theresa Hollander

La fotografia delle retine, nel caso di Theresa Hollander citato dal Washington Times del 1914, non ha mai rivelato nulla per avvalorare la tesi che il suo ex ragazzo fosse responsabile dell’omicidio. L’uomo fu processato due volte e due volte dichiarato non colpevole.

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