Capita ed è capitato a molti di noi, e neanche troppo di rado, di domandarci: Vale La pena Essere Nati? C’è in effetti una profonda serenità nell’idea di ciò che eravamo prima di nascere: nulla. Non c’era dolore, né gioia, né alcun tipo di preoccupazione. Non soffrivamo il freddo pungente di un inverno rigido, né l’afa opprimente di un’estate torrida. Non conoscevamo le delusioni, le malattie o il peso delle responsabilità. Non avremmo subito le morti delle nostre persone care. Eravamo semplicemente assenti. E in questa assenza, per quanto inconcepibile oggi che esistiamo a tutti gli effetti, si trova una forma di pace totale. Una pace che, pur non essendo percepita, ci risparmiava il dolore della vita.
Se ci fermiamo a riflettere, ci possiamo rendere conto che la nostra nascita ci ha trascinato fuori da quel nulla originario, esponendoci a un mondo di gioie, certo, ma anche di inevitabili sofferenze. E allora una domanda emerge spontanea: è davvero così necessario nascere? O forse quel non-essere, con tutta la sua neutralità, rappresentava un compromesso accettabile, una via per evitare il dolore senza sentire la mancanza delle gioie?
Prima della nascita e dopo la morte: un ritorno al nulla?
Molti filosofi hanno messo a confronto il nostro stato prima della nascita con quello che, ipoteticamente, ci attende dopo la morte. Se accettiamo che dopo la morte non ci sia nulla — nessuna coscienza, nessun dolore — allora il non-essere si presenta come una condizione di assoluta pace.
Pensiamoci: prima di nascere, il mondo era pieno di eventi, guerre, catastrofi, ma nulla di tutto ciò ci riguardava. Non eravamo lì a soffrire, a combattere, a preoccuparci. E non abbiamo mai percepito quell’assenza come una perdita. Non è forse curioso che, nonostante l’umanità abbia attraversato tragedie indicibili prima del nostro arrivo, noi non ne siamo stati colpiti semplicemente perché non esistevamo? Non è forse un pensiero che dà sollievo? Allo stesso modo, se non fossimo mai nati, non ci saremmo trovati a fare i conti con il dolore, con la malattia, con le perdite o con l’angoscia del futuro.
David Benatar e la filosofia della non-nascita
Questo tipo di riflessione è stato portato all’estremo dal filosofo David Benatar nel suo controverso libro Better Never to Have Been, che in italiano suonerebbe più o meno come “Meglio non essere mai nati”. Benatar propone un’idea radicale: nascere è un danno, perché ci espone inevitabilmente al dolore. Egli basa la sua tesi su un’asimmetria etica. Secondo lui, non esistere è sempre preferibile, perché:
- Non provare dolore è sempre un bene.
- Non provare piacere non è un male, a meno che non ci sia qualcuno a soffrirne la mancanza.
Da questa prospettiva, il non-essere è una condizione superiore all’essere: ci protegge da ogni sofferenza senza farci rimpiangere nulla, perché l’assenza di gioie non viene percepita. Ma questa idea trova davvero tutti d’accordo? Per alcuni, l’esistenza stessa è un dono prezioso, una possibilità unica di sperimentare, conoscere, amare, e anche soffrire. Per altri, invece, il prezzo del dolore può sembrare troppo alto. E tu, cosa ne pensi?
Vivere: un rischio calcolato?
Ma per sapere se vale la pena essere nati non possiamo solo sentire la campana (a morto) di David Benatar. Nascere significa affrontare un’incertezza: non sappiamo in quale contesto verremo al mondo, né quali dolori o gioie ci aspettano. Alcuni nascono in condizioni favorevoli, circondati da amore e opportunità; altri, purtroppo, vengono al mondo in situazioni di sofferenza, privazione e ingiustizia. Ma indipendentemente dal contesto, la vita porta con sé inevitabilmente difficoltà e dolori. Non sarebbe più semplice, allora, restare nel nulla? Non è una domanda da poco: il non-essere ci protegge dal rischio, ci risparmia le delusioni, e allo stesso tempo ci priva solo di quelle gioie che, se non vissute, non possiamo rimpiangere.
Vale la Pena essere Nati? Per Nietzsche si
Friedrich Nietzsche avrebbe risposto che si, vale la pena essere nati. Nietzsche è noto per la sua filosofia vitale e per la sua visione secondo cui la sofferenza non è qualcosa da evitare, ma da abbracciare come parte essenziale della vita. Secondo Nietzsche, il dolore non solo dà significato alla gioia, ma è anche il motore della crescita personale e della creazione. Nel suo concetto di amor fati — l’amore per il proprio destino — invita ad accettare tutto ciò che la vita offre, anche le sue difficoltà, come parte di un percorso che rende l’esistenza autentica e piena.
La sua celebre frase, “Ciò che non mi uccide mi rende più forte”, sottolinea questo approccio: il superamento delle difficoltà rafforza l’individuo, arricchendolo di esperienze e significato. Per Nietzsche, la vita è degna di essere vissuta non malgrado il dolore, ma proprio grazie ad esso, che alimenta la volontà di potenza e la capacità di superare sé stessi.
Altri filosofi sulla sofferenza come valore
Nietzsche non è l’unico a pensare che vale la pena essere nati e a vedere nella sofferenza un elemento positivo della vita. Altri filosofi hanno affrontato il tema in modi simili:
- Arthur Schopenhauer: Sebbene sia noto per il suo pessimismo, Schopenhauer vede nella sofferenza una condizione ineliminabile dell’esistenza. Tuttavia, per lui la consapevolezza di questa verità può portare a una forma di saggezza e, attraverso l’arte o la contemplazione, a una sorta di riscatto.
- Søren Kierkegaard: Come pensatore esistenzialista, Kierkegaard considera l’angoscia e la sofferenza parte integrante del vivere autentico. Sono esperienze che ci spingono a confrontarci con noi stessi e con il significato della nostra esistenza.
- Simone Weil: Weil interpreta la sofferenza come una via per la trascendenza e la comprensione del divino. Attraverso la sofferenza, l’essere umano si apre all’altro e a ciò che è più grande di lui.
Un invito alla riflessione
Questa riflessione non pretende di certo di avere risposte definitive. Piuttosto, vuole aprire uno spazio di dialogo. Ti sei mai chiesto cosa avresti evitato se non fossi mai nato? Le gioie che non avresti conosciuto, certo, ma anche i dolori che non avresti mai dovuto affrontare. È un pensiero che ti spinge a riconsiderare il valore della tua esistenza, o credi che, nonostante tutto, valga sempre la pena vivere?
Ognuno di noi ha un rapporto unico con la propria vita. C’è chi sente che ogni singolo istante, per quanto breve o difficile, meriti di essere vissuto. E c’è chi, invece, potrebbe guardare con serenità alla condizione di non-esistenza come a una forma di pace. Entrambe le prospettive meritano rispetto e riflessione. Tu dove ti collochi?
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